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torta paesana
01/07/2006

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Si avvicina la seconda domenica di luglio, la festa patronale della mia parrocchia: è arrivato il momento di cominciare a procurarsi gli ingredienti per la torta di latte o torta nera o torta paesana o (ma solo per pochissimi) torta del paese: ognuno nei dintorni la chiama un po’ come crede: questa torta è tipica della parte di Brianza in cui vivo e siccome ogni paesino è diverso dall’altro e all’interno del paese ogni località, corte o contrada è diversa dall’altra, allora anche i nomi cambiano.
Così come cambiano gli ingredienti: latte (da qui il primo nome, che in dialetto si traduce con turta de lac – con la “c” ciccia-), michette di qualche giorno prima (detto pan pos, cioè pane posso e quindi secco), cioccolato e cacao (da qui il secondo nome), biscotti secchi, amaretti, canditi, uvette, pinoli, burro, uova, zucchero e niente lievito. Inizialmente predominavano pane e latte (beh, in campagna non mancavano mai) poi la ricchezza ha aggiunto tutto il resto con più abbondanza; inoltre era una torta che si faceva esclusivamente per la patronale (quindi una volta all’anno, ahimè…) e quindi gli ingredienti venivano accumulati pian piano nella dispensa.
Passiamo alle quantità: ci risiamo, ogni famiglia (o gruppi di famiglie della stessa cascina) ha una ricetta diversa…e ovviamente ognuna è giusta!! Non andare MAI a dire ad una signora “ah, ma io la faccio diversa”, questa ti risponderà indignata “alura, maiatela te” (allora, mangiatela te!”). Ogni mamma tramandava alla figlia la ricetta oralmente (e senza l’uso della bilancia) e si sa come vanno le cose quando non sono nero su bianco: cambiano sempre un po’, quindi questa diversità non stupisce per niente!
Ogni donna preparava l’impasto a casa propria nel secchio del latte (ovviamente si preparava in quantità: primo perché le famiglie erano numerose, poi perché la si scambiava con i vicini o la si dava a chi non poteva farla, ma soprattutto perché si conservava per diversi giorni): la sera prima metteva il pane nel latte e ve lo lasciava tutta notte, la mattina aggiungeva biscotti e amaretti fino ad ottenere un pastone al quale via via aggiungeva gli altri ingredienti: il risultato era un impasto marrone goduriosissimo (da mangiare crudo è la fine del mondo: garantito!). A quel punto le signore prendevano ognuna il proprio secchio e le proprie teglie (tutte diverse tra loro: tanto non c’è lievito: grandi, piccole, tonde, rettangolari…anche le pentole andavano benone…ah, la praticità contadina, altro che silicone!) e andavano dal fornaio che cuoceva tutte le torte del paese: ogni donna escogitava un marchio da mettere sulla propria torta: un pezzo di biscotto, un amaretto, i pinoli… ma anche incisioni sulle teglie…guai a scambiarsi le torte!
A questo punto entravano in gioco i bambini che avevano seguito con la classica bava alla bocca tutto il processo: quando mai ricapitava nel corso dell’anno di mangiare una simile leccornia? Le donne evitavano di togliere completamente l’impasto dal secchio (dopotutto i leccapentola ancora non esistevano!!!) e mandavano i bambini a “lavare” i secchi…e qui cominciava la festa: con le mani (col cucchiaio che gusto c’è?) “spazzolavano” alla perfezione ogni angolino dei secchi (mi madre mi racconta sempre che mio padre si contendeva sempre il secchio con suo fratello: una lotta all’ultimo candito!).
Una volte cotte le torte, per tutto il paese si sentiva un profumo invitante (purtroppo posso solo immaginarmelo pensando a quello che sprigiona il mio forno…), pensate ai contadini e agli operai che tornando a casa ne erano avvolti: si capiva immediatamente che la festa era arrivata!! Nei giorni successivi i vicini si scambiavano pezzi di torta: allora sulla tavola c’erano fette alte, basse, più chiare, più scure, più dolci, con la crosta più dura, con gli angoli o senza…ed era una festa per tutta la famiglia, un momento felice da condividere con gli altri.
Oggi sono sempre meno le donne che fanno questa torta, ma rimangono ancora tutte le diversità che rendono bello e familiare questo dolce: molte ormai la cuociono nel forno di casa (c’è da impazzire a far entrare più teglie possibili, ovviamente di forme e misure diverse!) ma le donne più anziane, non rinunciano a portarle dal panettiere per cuocerle (ognuna con il proprio segno di riconoscimento, ovviamente!). E con un po’ di esperienza, si può ancora riconoscere l’autrice di una torta, solo guardando ed assaggiando i dolce.
Ho voluto raccontarvi tutto ciò perché questo dolce è molto famoso nei paesi vicini al mio e nelle sagre paesane è un must, ma soprattutto perché è un rito che mi accompagna da sempre e volevo condividerlo con persone che amano la cucina, ma anche le tradizioni di una volta.
Scusate se mi sono dilungata.
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(*)  Legge del 22 aprile 1941 n° 633. Cfr anche Il diritto d'autore in internet.

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